Le recensioni
MASSIMO CARLOTTO
LA TERRA DELLA MIA ANIMA
Edizioni E/O - Pag. 151 - 15,00 Euro
Beniamino incontra l’amico Massimo per l’ultima volta e gli lascia una manciata di cassette che contengono la sua storia. Massimo, capace di prendere per mano il lettore e condurlo dove vuole, le ascolta e ne rimane ‘affascinato’. Chi legge di questo personaggio si commuove, giustifica o accusa, ma non può evitare di rappresentarsi il vivere in frontiera, quel continuo alzare il tiro per essere vivi: “…come uno che ha corso tutta la vita senza mai guardare indietro: sarei andato fuori strada e mi sarei fottuto nel tempo”. Questo di Carlotto è l’ultimo palpitante romanzo sulla vita di Beniamino, spesa a scoprire le lande della vita segnate da frontiere da scavalcare: geografiche, ed altre, più improbabili da conquistare, quelle dell’anima’.
La prima frontiera lo consegna, adolescente, dal territorio della guerra a quello della pace nella Milano dell’immediata liberazione dal nazifascismo, fino a quando la famiglia si trasferisce a Ponte Tresa sul confine svizzero. Qui Beniamino capisce “di essere arrivato nel posto giusto”. Con la compagnia di Arturo diventerà ‘spallone’; gli insegnerà il mestiere e l’amicizia; la passione politica rimane un riferimento che attraverserà con lui le diverse frontiere; i refrain di Ricky Gianco accompagnano la storia, disegnano le giuste atmosfere. Grazie alla buona penna di Carlotto, si (ri)scopre l’intrigante figura del contrabbandiere di sigarette: i suoi viaggi, i rischi e gli arricchimenti, le connivenze con la Guardia di Finanza e il peso delle multinazionale nel traffico di contrabbando; un mondo dove ‘le regole erano certe’, gli uomini legati tra loro da vincoli di parentela e ‘ci si radunava solo per il piacere di stare insieme’ . Da quando ha inizio il trasporto delle bricolle, un crescendo di avventure (per vivere disincantato dall’inganno del boom economico) si innesca come un vortice, dal quale Beniamino dà l’impressione di essere risucchiato, per riemergere, mai rassegnato a consegnarsi ad una vita da regolare, nemmeno quando è alle strette: “preferisco il cuore in tumulto e la testa piena di sogni alla rassegnazione e all’urgenza del pentimento”.
La terra dell’anima che il protagonista cerca è qualcosa di puro, incontaminato come l’aria, l’acqua gli spazi verdi e ubertosi che accompagnano gli spalloni lungo i sentieri di confine con la Svizzera. (pare un paradosso se rapportato all’illegalità di cui è impregnata ogni cellula del nostro).
In questa tormentata ricerca, il passaggio da una frontiera alla successiva è l’elemento fondante, la pietra di volta che sorregge l’impalpabile fragilità di Beniamino; i codici socialmente riconosciuti che stabilizzano l’individuo nella società finiscono in secondo piano.
Adolescenza, innamoramento, matrimonio ed amore eterno e figli, casa, lavoro e stipendio fisso, tutto è scombinato, capitombola nella penombra come zavorra: “era un lavoro duro, privo di avventure e rapporti umani intensi. Cuore e cervello erano come anestetizzati, vivevo come un automa. Il tempo libero lo trascorrevo…in casa per renderla sempre più bella”, dice Beniamino in un periodo di ‘sconfitte professionali’ che lo costringono al temporaneo ritorno dalla moglie.
Il racconto si interrompe, nei corsivi è scritta la storia nella storia. Beniamino parla di altre frontiere, quelle che si ergono come muro quando si è in compagnia della paura: “piansi come mai mi era successo…per la mia irrimediabile solitudine. Per quel vuoto che sentivo nel petto”. Lontano da avventure che occupano lo spazio di vallate e mari e città, lo sguardo si stringe sulla sua cella (il peregrinare tra le carceri nazionali è l’occasione per narrare con spiccata intensità narrativa della vita di cittadini carcerati), le privazioni cui è costretto, la scoperta del suo male; il rapporto con la malavita vera che non diventerà mai un’altra terra per la sua anima, lo porterà verso l’ultima frontiera, alla quale giunge attraverso la strada dell’avventura ormai ridotta a un tortuoso sentiero. Nel paese dove sta agli arresti domiciliari, si integra con la società civile. “Forse è un po’ patetico che uno col mio passato si esprima così”, proclama la resa ad una vita che ha sempre rifiutato e scopre un godimento mai vissuto prima.
Marco Radessi