Le recensioni

GIOVANNI GRANATELLI

STRETEGIE DI RESISTENZA

Moby Dick Ed. - 50 pp. - 9,00 euro

Strategie di resistenza è una raccolta di poesie che contiene l’omonima sezione più altre due intitolate Guerriglia silenziosa e Nella sgraziata contea.

Nulla su guerre presenti o passate, molto sul sonno della ragione.

Una ferita è il terreno fertile su cui si impiantano le prime cellule della guerriglia resistente cara a Granatelli: la ‘quinta proteina’ infilata nel codice genetico, attraverso cui sfuggono, come da un uscio socchiuso, quei segnali non verbali – “Una ferita è…la filigrana della voce…le traiettorie abituali delle mani nell’aria…” – che disarmano ed esaltano la parte più intima e timida dell’individuo,  senza i quali, nella sgraziata contea, sarebbe più facile assimilarsi a “…questa criminosa trascuratezza da sonnambuli”. 

            Lo sguardo vigile del poeta si concentra su quegli elementi nascosti che caratterizzano un’ azione, un fatto o un sentimento – pare che veda quel reticolo di infrarossi che collegano i vari elementi di una situazione – e ce li restituisce con un linguaggio preciso, terso, mondato da qualsiasi tentazione barocca. 

Schegge si infilano nel sottopelle del lettore: subito dolorose quelle raccolte nella corsia di un ospedale; impalpabili ma fastidiose come un urlo di sirena a squarciare la “superficie apparentemente placida dell’acquario…sotto il fiume del sonno”; a più lento rilascio, infine, ma non meno incisive quelle che riflettono “…sciancati saltimbanchi in cerca… di luoghi…dove allestire alla meglio le nostre repliche incomplete” .

I tratti minimi di esistenze,  sono individuati durante il peregrinare del viandante nella sua sgraziata contea alla ricerca di “…un suono che si appoggia sul tempo come un amante…”, un interlocutore-compagno di viaggio disposto a compiere un tratto di strada in sua compagnia. Il viandante annota stati d’animo, pigri silenzi, grida di dolore, e una diffusa “incertezza del clima” che “rende vigili e suggerisce agli occhi una compassione più agile”.     Il tempo utile per tradurre (nel senso etimologico del termine) luce “…sulla pena squillante degli oggetti domestici…” è quello dello scatto di una fotografia:  troppo breve (tutta una vita?) per lasciarlo trascorrere disarmati a qualsiasi tentativo di furto.

Penso che sia una poesia di denuncia verso il quatto quatto adattarsi allo ‘stare al mondo’ e lasciarsi avvelenare “goccia a goccia”, la rinuncia a meravigliarsi di fronte all’inconsueto. Le cause di questa sonnolenza, per il nostro viandante, non stanno appese al bordo di una nuvola o in cima ad un albero, ma dentro i personaggi che incontra, con cui dialoga, in quella cella della mente che si accontenta della mediocrità,  rifiuta la crescita culturale, convinta di possederla già in quel ‘tutto e subito’ che gli attuali messaggi mass-mediatici-cultural-politici (sic) ci presentano, in cambio dell’acquiescenza; come se fosse tacitamente accolto un pensiero per tutti, un limite di espansione dei neuroni. Siamo sicuri che il nostro cervello sia contento di riposarsi, rilassarsi? (ricordo a memoria ma il senso è questo) si chiedeva Alessandro Bergonzoni in un intervista televisiva di qualche mese fa. Allora, il buon pellegrino invoca, supplica la resistenza: “la foga con la quale/una vischiosa disarmonia/prende possesso delle stanze disabitate/degli appezzamenti lasciati incolti…l’incuria frusciante/ che ci blandisce i nervi/ lascia dietro di sé/una lunga scia di perdita. Ti scongiuro/non  abbassare la guardia/ non accostare le palpebre.”  

Quest’ansia, che credo si percepisce, non deve trasformarsi in sperpero di energia simile al vapore acqueo, ma siccome “Otteniamo/una sostanza lieve/ dalla combustione che ci sperpera…” meglio se “…ci convinciamo ad usarla…”.

Questo  è il momento di non soccombere: incontreremo un manipolo di seguaci del viandante decisi a resistere. Proprio nella “casa violata” restituiscono “estro e ordine agli oggetti stravolti” reimmettono aria, e decidono per sé stessi che “quell’urto inarginabile di desiderio sia quello che…ci salva”. Per sé stessi, perché “…tutto il resto della guerriglia è poi giustamente affar nostro”.

  Marco Radessi