Le recensioni

JOHN FANTE

CHIEDI ALLA POLVERE 

Einaudi Ed. - 234 pp. - 9.50 Euro

In questo libro ci sono due grandi storie, e ogni pagina è pregna della sua storia come la vena del suo sangue. Il desiderio di accostarsi ai personaggi e trascorrervi del tempo assieme, cresce grazie alla consistenza della trama. Ironia e sofferenza caratterizzano i personaggi. Poco di quanto segue qui e di altro, scritto da addetti ai lavori, che ho letto attorno a Fante – a parte la prefazione di Bukowski a questo libro – restituisce l’idea della portata emozionale che lo scrittore riesce a trasferire. Fante mette in campo le emozioni, i sussulti.

La prima riguarda le peripezie di Arturo Bandini, figlio di italiani emigrati, legate all’omologazione, o meglio alla conquista dell’identificazione, per lui nato in America,  con il ‘vero americano’, di cui Fante ci racconta tutti gli ostacoli: “…nessuno finisce dentro per vagabondaggio a Los Angeles, se indossa una camicia fantasia e un paio di occhiali da sole. Ma se avete le scarpe impolverate e portate un maglione pesante…non vi andrà liscia….Quindi… mettetevi l’uniforme…”(pg54). Aspirante scrittore proveniente da Boulder nel Colorado (o Nebraska?), appartiene alle migliaia di persone attirate dal mito di Los Angeles, il paese di Zorro e della sua spada a difesa degli ultimi. Come ogni migrante ha in tasca il sogno e forse l’idea di cambiare vita “…ce la farò a scrivere come William Faulkner” (p.18),   e quel suo cocciuto e ripetuto rivendicare di essere americano, lo sprona, a tratti lo illude, ma senz’altro lo convince a perseverare nel suo progetto: “ …nel canalino di scolo notai un lungo mozzicone di sigaretta. Lo raccolsi senza vergognarmi e lo accesi… Ero americano e ne ero maledettamente orgoglioso. Grazie a Dio era questo il mio paese! Per fortuna ero nato americano!” (pg 52) Ma gli americani ‘veri’, i californiani ‘Smith, Jones, Parker’ non scambiano nemmeno una parola con Bandini;  da lui sono riconosciuti come “gente con cui non avevo mai avuto niente a che spartire… Quando ero ragazzo… erano questi stessi… a ferirmi, apostrofandomi con atroci nomignoli” (p.54)

 I quartieri di Los Angeles,  nei quali il tormentato Bandini trascorre i suoi giorni,  sono una riserva che raggiunge il suo limite estremo alcune centinaia di metri dentro il deserto Mojave “…che attendeva che la città morisse per ricoprirla di nuovo con la sua sabbia senza tempo”(p.136) e, dall’altra parte, l’Hotel Alta Loma a Bunker Hill: grande, a questo proposito, la metafora della conquista del ‘diritto alla felicità’, per “chi ha il nome che termina con una vocale dolce” (pg 55),  nella descrizione dell’albergo in cui vive il protagonista: “…era costruito…in senso  inverso…il piano terra era a livello stradale e il decimo dieci piani sotto” che Bandini è costretto a ‘scalare’ per raggiungere il livello della strada (pg. 16) e vedere la Los Angeles dei suoi sogni materializzarsi contro la vetrina di un negozio di pipe (pg13).   In questo perimetro, in cui si sopravvive bevendo “…birra che costava poco e puzzava di rancido e il passato era rimasto immutato” (p.40), le relazioni quotidiane tra le diverse etnìe di immigrati sono quanto di più insolito si possa immaginare, e gli unici americani col pedigrèe ammessi sono quelli falliti, come il signor Hellfrick.

Arturo sente la voce della cameriera Camilla in un bar (cap IV).  Si innesca una tormentata passione. Il locale è terreno di sfida tra una messicana e un ‘americano’, in cui, se innamorarsi è anche una storia di sguardi, le prime fasi del rapporto sono occhiate e passi che cambiano direzione un istante prima di incontrarsi: due predatori che si annusano,  provocano ferite profonde. Il lavoro di Fante – un vero stages di scrittura – attorno alle ‘huarachas’ della ragazza (e non solo) ci racconta il duello tra due disperati, in continua tensione per galleggiare e far parte di quei pochi eletti che ‘ce l’hanno fatta’

 L’altro grande amore, Vera Rivken, si riferisce in modo più netto alla seconda grande storia. Chi è Vera? Non si sa nulla di lei che la possa introdurre . Qual è il pretesto, ‘l’incidente’, direbbe James, che li ha fatti incontrare? Non esiste: “…non feci in tempo a dire avanti che…una donna comparve sulla soglia, dove rimase a guardarmi con uno strano sorriso” (pg 92). Vera è qualcosa di più, credo. E’ la storia del rapporto tra lo scrittore e l’idea di novità in contrasto con la tradizione –  “…lei non sa scrivere. Non sa nemmeno da dove si comincia,” (pg 93) gli dice – che si presenta sulla porta della corteccia cerebrale dello scrittore, chiedendogli con urgenza di essere trasformata in progetto, poi in trama.

Tanto Camilla si è fatta conoscere – faceva la storia –, tanto Vera è ‘in via di definizione’ e scomparirà al termine del suo compito iniziatico, provocando, in seguito, uno stravolgimento in Arturo (Fante, a questo punto): “…Arturo Bandini era particolarmente in forma quella sera , perché si rivolgeva al suo grande amore, al suo vero e grande amore che non eravate né tu (rivolto a Camilla) né Vera Rivken” (pg148).

Fin dalla sua comparsa, Vera si muove in camera di Arturo come un’apparizione “…che posso essere se non la figlioccia del diavolo?” (pg 94) che conquista urgenza e ‘fisicità’ pagina dopo pagina, in quella trama che non leggeremo mai, se non fermandoci sull’orlo dei suoi albori, che farà grande Bandini. Per queste pagine tornerà, di grande impressione, la storia con Camilla, in un inseguimento mozzafiato, fin dentro la polvere del deserto di Mojave. 

  Marco Radessi

 

 ALTRI LIBRI DI FANTE, OLTRE A QUESTO: 

 Sogni Bunker Hill                  

Aspetta Primavera Bandini 

La strada per Los Angeles  (questi primi tre sulla saga di Bandini)

La confraternita del chianti  

A Ovest di Roma(contiene: Il mio cane stupido, L’orgia) 

Full of life           

Dago Red

Il dio di mio padre 

La grande fame 

 Ho fatto del mio meglio, ma non so se la bibliografia è completa.