Le recensioni

ELENA FERRANTE

L' AMORE MOLESTO

E/O EDIZ. - 178 Pagg. - Euro 7.00

Quand'ero piccola trascorrevo il tempo delle sue assenze ad aspettarla in cucina, dietro i vetri della finestra. Smaniavo perchè riapparisse in fondo alla via come una figura in una sfera di cristallo. Respiravo sul vetro appannandolo, per non vedere la strada senza di lei. Se tardava l'ansia diventava così incontenibile: (?) quando torni ti ucciderò pensavo". E' tra i primi ricordi che affiorano dalla memoria incerta di Delia, figlia quarantenne che racconta a se stessa di sua madre, ritrovata cadavere sul litorale di Minturno.

Questa di Elena Ferrante è una storia senza colori pastello che ci lascino tirare il fiato. Non è un thriller, ma ne usa il ritmo e alcuni canoni.

La conflittualità irrisolta ha compromesso irrimediabilmente il rapporto di Delia con la madre: (...) negli ultimi tempi veniva a stare da me almeno una volta al mese per qualche giorno. Non ero contenta di sentirla per casa, avevo l' impressione che sfaccendando mi trasformasse il corpo in quello di una bambina con le rughe (pag8); quando più avanti i motivi di questa conflittualità si stanno per svelare, il pensiero di Delia non concede più sconti: "...mi aveva lasciata nel mondo a giocare da sola, con le parole della menzogna, senza misura, senza verità" (p.170).

Delia torna alla sua città per organizzare il funerale della madre e Napoli ci viene descritta in punti narrativi precisi, sempre ad uso della storia che le scorre dentro; la attraversa, a tratti brevi ma convincenti, lontana dalle immagini stereotipate del pino marittimo, il Vesuvio e 'o mare': "quando a un certo punto comparve uno scorcio di mare (lo stesso che da bambina mi entusiasmava) mi sembrò carta velina violacea incollata su una parete sbrecciata (p 65) 'cominciò un viaggio estenuante attraverso una città senza colori, strozzata dagli ingorghi. Nell'autobus c'era un forte odore di ammoniaca e due vecchie signore che fissavano davanti a loro con una rigidità innaturale. Una aveva la borsetta ben stretta sotto l'ascella...(p61).

Mentre il corteo funebre procede verso il cimitero, si insinua il movente che guiderà tutte le mosse di Delia. "Durante il funerale mi sorpresi a pensare che finalmente non avevo più l'obbligo di preoccuparmi per lei. Subito dopo avvertii un flusso tiepido e mi sentii bagnata tra le gambe" (p.12). Elena Ferrante usa forse la metafora più potente e impegnativa di tutto il romanzo (il ciclo mestruale indica il passaggio ad uno stadio di maturità, contemporaneo alla richiesta di indipendenza, di spazi propri che nessuno può invadere) per rappresentarci Delia e la sua urgenza di distacco e contrasto verso la figura materna, che le sono stati negati in età puberale, quando questi scontri accadono, naturalmente, per rivendicare la propria indipendenza dalla figura genitoriale. Per elaborare e costruire la propria personalità, Delia vuole appropriarsi del proprio spazio  come un adolescente, ma con i dubbi e l'esperienza, ahimè dello stesso colore violaceo del mare, accumulati negli anni che non ha mai conosciuto a causa, a detta di Delia, della madre che pare essersi meritata, o quanto meno cercata, le percosse del padre se non per giustificare una violenza di tutt'altro peso e direzione che per ovvii motivi di trama e suspense non ci sentiamo di trattare.

Riuscirà a dissiparsi l'ombra della madre? Ma è solo questo l'unico punto da risolvere, o esiste un dolore diverso da portare alla luce per poi rimuoverlo definitivamente? Fino a che punto dovrà strisciare nel buio della menzogna per poter poi risalire e "una volta all'aperto cercai il passo giusto per una persona adulta che non ha fretta" (p.172)?

Il vero detective di questa storia è Delia "per diventare io e staccarmi da lei" (p78). Comincia un vero e proprio inseguimento dentro se stessa, fino al punto di sopportazione più estremo: quel sovrapporsi all'identità della madre, contrario a  'staccarmi da lei' di poco sopra, passato il quale si dispiega il silenzio insopportabile del rimorso. A tal proposito è importante sia l'assonanza dei due nomi delle protagoniste che a tratti ce le fa sovrapporre, confondendole, sia la silhouette senza testa della copertina.

Inatteso, e per questo apprezzabile, l'escamotage dell'autrice attorno alla carta d'identità che ci restituisce l'altro perno attorno al quale si sviluppa questa narrazione: la confusione mentale di Delia: " ero identica a lei e tuttavia soffrivo per l'incompiutezza di quell'identità. Riuscivamo a essere 'io' solo nel gioco, ormai, e lo sapevo" (p.167).

Dall'incontro di Delia col padre fino al suo camminare quasi prona nei cunicoli di una rivendita di dolci, ormai ad un passo dalla soluzione, è un crescendo di intensità emotiva e narrativa.

Il romanzo, senza la presunzione di montare in cattedra per insegnare qualcosa, solleva il velo su preconfezionate convinzioni relative ai rapporti familiari che mettono troppo spesso a tacere un sottobosco di inquietudini, capace di rimanere quieto per una vita intera, ma anche no. E' anche una gran sfida tra la sfacciata perseveranza della menzogna e la discreta conquista della verità.

Se è un rito affermato non svelare, come in ogni thriller di rispetto, ciò che incatena a queste importanti pagine, è preferibile concentrarsi su perchè questo è il cuore palpitante della storia, fino a che punto Delia (solo lei?) è in grado di mentire a se stessa,fino alla fine, per sopravvivere.

Marco Radessi

Di Elena Ferrante, oltre a questo:

I giorni dell?abbandono  Ed. e/o pagg. 211 euro 14,00
La frantumaglia  Ed. e/o pagg. 183 euro 14,50