Le recensioni

JOSEPH PULITZER

SUL GIORNALISMO

Bollati Boringhieri pp127 10 EURO

 

Questo scritto imperdibile per il contenuto ed accattivante nella forma è stato pubblicato nel 1904 sulla Rivista Americana ‘The North American Review’. E’ la risposta di Pulitzer a coloro che si opponevano all’apertura della Scuola di giornalismo alla Columbia University. E’ il suo progetto ‘visionario’.

             E’ possibile, si chiese Pulitzer, dare valore ‘scientifico’ alla professione di giornalista, fino allora riconosciuta come ‘dote innata’ , ‘talento naturale’,  con delle regole e quali sono queste regole etiche, professionali e di scrittura da rispettare per ‘formare il giornalista? Perché si dovrebbe aprire questa scuola? “Perché non dovremmo sperare che un istruzione adeguata non possa creare in futuro tra i giornalisti uno spirito di corpo, l’orgoglio per la professione….?” Il giornalista, ci ricorda Pulitzer, lavora da solo, non ha (a quel tempo) un luogo in cui potersi trovare coi colleghi, parlare del proprio lavoro, creare quello spirito di corpo che metterebbe al bando le pecore nere della categoria. “Se esistesse un tale spirito di corpo, nessun giornalista che si fosse degradato tanto da diventare  il mercenario di magnati o cricche di Wall Street avrebbe il coraggio di guardare in faccia i suoi colleghi”  

            Come insegnare a convivere col potere morale – a non farne cattivo uso – che questa professione consegna a chi la sceglie? Le problematiche commerciali ed amministrative di un giornale esistono, ma devono stare ‘solo’ nell’Ufficio Amministrativo e non in redazione. Il giornalista redattore deve essere riconosciuto dall’ opinione pubblica come capace di dimettersi piuttosto che obbedire a interessi economici.

            Per avvalorare l’importanza del rispetto di regole di integrità morale, Pulitzer ci informa del moltiplicarsi esponenziale della tiratura dei quotidiani e come questa diffusione si sia rivelata determinante sul controllo delle scelte elettorali e del formarsi di opinioni.

            “Che ci piaccia o meno ci siamo imbarcati in una rivoluzione del pensiero e dell’esistenza”, ci ricorda questo pioniere,riferendosi allo sviluppo tecnologico di quel periodo,in merito soprattutto alla possibilità di circolazione di notizie ed idee (il telefono senza fili i treni elettrici e le modalità di stampa);  mai frase di cent’anni fa è più attuale.

Cosa insegnare, quale materia. Mentre il mondo corre, le professioni si evolvono, si specializzano, richiedono preparazioni sempre più lunghe: “è dunque soltanto la professione che richiede le più ampie e profonde conoscenze e la più incrollabile tempra morale a dover essere lasciata alle casuali fortune dell’autodidattica?” L’arte della scrittura, lo stile linguistico, la capacità critica dovranno essere insegnati, ma soprattutto l’importanza dell’istruzione specialistica, ovvero evitare l’apprendimento – peraltro impossibile – dello scibile di tutto le materie, ma, per esempio riferendosi a Giurisprudenza,  la conoscenza dei principi e delle teorie che permetteranno al futuro giornalista di metterle in relazione ai diritti e al bene del pubblico. Chi chiamare per istruire lo studente – giornalista a scrivere in merito di questioni che toccano da vicino il benessere e la vita delle persone, come per esempio il divorzio.

  Come insegnare l’etica? Pulitzer riconosce che questo è il cuore dell’intera faccenda.  “L’etica dovrà permeare tutti i corsi di studio”.  Come insegnare l’importanza della verità e della precisione. Sarà fondamentale  istruire il giornalista su come reperire i fatti, la conoscenza delle fonti,  piuttosto che riempirgli la testa con migliaia di fatti che servono a poco.

Pulitzer riconosce che la difficoltà principale dell’insegnamento di questa professione è la smisurata estensione della materia. Lui ha il progetto di questa scuola e il ‘fine ultimo è il bene della Repubblica perché ci troviamo di fronte a un fenomeno portentoso: un’universale, colta consapevole democrazia. Oggi le masse leggono. Hanno consapevolezza delle proprie insoddisfazione e del proprio potere ’ . Forse siamo riusciti a compiere più di qualche passo indietro.

 La seconda parte definisce l’opinione pubblica come la ‘convinzione basata su prove evidenti…l’insieme di opinioni private…governa la condotta di una comunità’, quella forza che può costringere il governo ad affrontare una tematica nazionale. Il proseguimento è poi una ricca e godibile informazione sul peso che le voci democratiche hanno usato per modificare le pagine della storia e sull’influenza e la manipolazione usata dalla stampa e dal potere per condizionare le scelte e gli orientamenti.

 A noi che lo leggiamo ricorda come riconoscere il giornalista. Salvaguardati quei gruppi di giornalisti liberi e istruiti, spesso leggiamo  penne  arrese alle banalità che ascoltiamo al bar invece di dare valore aggiunto alla nostro pensiero. Creano (hanno creato) qualunquismo pericoloso. Il lavoro di alcuni oggi è rimuovere dalla memoria collettiva notizie scomode o spiacevoli per il potere: così la stampa – cane da guardia della democrazia è resa innocua se non ridicola.

 Un testo che, separato dal tono enfatico che spesso ricorre grazie all’entusiasmo di Pulitzer, ci aiuta a riscoprire una professione dimenticata perchè troppo spesso lontana dal cuore del suo significato: “l’uomo che scrive…è sostanzialmente l’uomo che più di chiunque altro contribuisce a determinare la nature del popolo e il tipo di governo che esso deciderà di darsi” (Presidente Roosevelt – 1904) 

 Marco Radessi

PS. Aggiungerei  la lettura di ‘ Cattiva Maestra Televisione’ del grande filosofo Karl Popper;; ‘Chi l’ha vista’ , cammino urticante dentro il peggio della televisione della brava Norma Rangeri, e per chi lo trova ‘Sotto la notizia niente’ di Claudio Fracassi (I libri dell’Altritalia)