Le recensioni

CHARLES D'AMBROSIO

IL SUO VERO NOME

Minimum Fax, pag. 250, Euro 14

Forse l’incubo di Kurt nelle prime righe trova la sua soluzione, la sua pace, nelle ultime tre di questo libro.

Personaggi tra loro diversi sono accomunati dalla presenza ‘del buco nero che risucchiava ogni cosa…era sempre lì, e quando uno beveva, pensando di sfuggirgli, lo notava ancora di più”.

Ognuno compie un viaggio. 

A Kurt tocca di accompagnare a casa la signora Gurney ciucca persa dal party organizzato dalla madre. Cos’era quell’incubo e com’era veramente la storia di suo papà: ‘sembrava che fosse andato a sbattere con la macchina contro qualcosa di orrendo’: basterà rubare quella lettera da sotto il letto della madre per capire? La signora Kurt racconta al giovane della sua vita mezza fallita non a causa delle sbronze.

Il viaggio di Jones in compagnia della ragazza con il ‘cranio che sembrava strinato dal fuoco… e quel corpo che si stava ritirando dal mondo’, dura alcuni giorni. Partiti da una pompa di benzina di Carbondale, nel sud dell’Illinois viaggiano verso Ovest, con l’intenzione di giungere a Las Vegas. Dopo l’incontro con un medico ubriacone e radiato dall’album che offre alla ragazza l’ultimo sollievo, finiranno in mare aperto, oltre la punta di Capo Flattery, per affrontare la fine della corsa nel più tremendo dei finali.

Il viaggio di ‘pallemosce’ sta nell’entrare e uscire di casa, arrampicandosi sul grosso acero che cresce lì di fianco, per raggiungere l’amico Regimbal; organizzare una festa in una casa disabitata non lontano dalla propria, rammentando i suoi turbamenti di quando i genitori ‘cominciarono a parlare di me in terza persona’.

 Jacinta, la vediamo partire alla fine del racconto, per fuggire da un insopportabile incubo familiare innervatosi nella coppia dopo la grave perdita della figlia. In questo come negli altri racconti, grazie alla buona penna di D’Ambrosio, è percepita la provincia americana, la sua solitudine e i rimedi rovinosi che i personaggi vi pongono per sopravvivere, il più delle volte accrescendo il senso di impotenza.

Ma sopra a tutto mi pare che ogni viaggio sia metafora del bisogno profondo di ritrovare il legame con una figura primaria ( col padre? con le radici più in generale?) spezzato da vicissitudini avverse o incomprensioni capitate magari per caso.  

La  penna felice di D’ambrosio trasforma l’incasinata mediocrità  di personaggi che vivono per inerzia, in un palpitante e imprevedibile inseguirsi di azioni ed emozioni, momentanei rattoppi a quel buco nero dell’ inizio. Entriamo nella loro vita e in quell’America sconosciuta e ricordata dai mass media se non per casi di quotidiana follia.

 Marco Radessi